Genova: I furgoni che non inquinano? Comprati e poi abbandonati
02/02/2009 - Nicola Ventura
Il cassone bianco, la scritta in verde, i tre furgoni sono lì da mesi, accanto alla sagoma un po’ sinistra di due autobus bruciati. Lungobisagno Dalmazia 67, periferia nord di Genova. La targa sul cancello è quella dell’Ami, l’azienda mobilità e infrastrutture
che cura la manutenzione dei mezzi pubblici. Ma nel destino di abbandono di quei mezzi c’è il fallimento di un’esperienza che aveva portato Genova ad eccellere almeno in un campo: quello del trasporto delle merci senza inquinamento, senza rumore, senza emissioni pericolose. Perché i Jolly (il prezzo, verificato dalla stessa azienda produttrice, è di 40 mila euro ogni furgone) sono camioncini elettrici. Potevano rappresentare la svolta, prototipi del grande progetto varato nel 2003, per approvvigionare negozi e botteghe del più grande centro storico europeo. Così ambizioso da diventare esempio anche per altre città italiane ed essere citato nei documenti ufficiali della Regione Sicilia, dove l’esperimento genovese viene esaltato come modello di corretta strategia contro l’inquinamento nelle città storiche.
Forse non sanno che quel test è naufragato. Non se ne sono andati via solo i finanziamenti che hanno permesso di comprare i furgoni. Ma anche lo stanziamento concesso, nel 2003, dal ministero dell’Ambiente: un milione e mezzo di euro.
Serviti per lo studio di fattibilità, l’acquisizione di hardware e software, del centro di distribuzione, dell’acquisto dei veicoli (i Jolly, nelle versioni 600 e 1200, sono prodotti dalla Faam di Monterubbiano, in provincia di Ascoli Piceno) e del loro collaudo, della diffusione dei dati.
Alla fine non è rimasto nulla. Perché il progetto, che dopo la fase sperimentale doveva essere rilevato dai privati, è andato in fumo per motivi economici e, probabilmente, anche per la consueta incomunicabilità tra i soggetti imprenditoriali cittadini. E per un bel po’ di tempo sembravano spariti anche i camioncini stessi. Tanto che il senatore Pdl Enrico Musso, che all’epoca (come consulente) aveva messo a punto il progetto insieme alla collega di Università Claudia Burlando, un mese fa aveva gridato allo scandalo con un’interrogazione in Comune.
Ora Il Secolo XIX è riuscito a ricostruire la storia di una piccola flotta composta di cinque Jolly 1200, tre Jolly 600 (più piccoli) più due furgoni Fiat a metano messi a disposizione gratuitamente dall’Iveco a mo’ di incoraggiamento dell’iniziativa. «Alcuni furgoni – spiegano ora all’ospedale San Martino di Genova – fanno parte della flotta di 45 mezzi elettrici utilizzati per gli spostamenti di servizio e ci sono stati dati dal Comune, ormai diversi anni fa, in comodato gratuito».
Gli altri erano finiti all’Amt ma hanno fatto ben poca strada, se ormai chi abita in alta Valbisagno si è abituato a convivere con la presenza dei furgoni chiusi all’interno della recinzione. «A marcire, da mesi», commenta uno dei trasportatori coinvolti nell’esperimento. Che, «un po’ per rabbia, un po’ perché non voglio fare alcun commento su questa vicenda nella quale avevo creduto», vuol rimanere anonimo.
Ci aveva creduto anche Arcangelo Merella, ex assessore al traffico della giunta di Giuseppe Pericu: «È stata una scommessa finita male, perché nessuno ha poi voluto rilevare i costi di un’attività ormai già testata e avviata dopo che sono finiti i finanziamenti pubblici. Ma in realtà il nostro tentativo è stato lodato da tutti, in molte altre città, come Padova, Bologna, Parma, che oggi usano sistemi analoghi. Era un vanto della nostra amministrazione. Peccato averlo lasciato cadere, visto che altrove si è guardato con interesse all’esperienza di Genova e per molti versi si è riusciti a farla decollare».
Invece a Genova, che aveva fatto da apripista, la situazione precipita nell’ottobre 2004. Bartolini e Tnt lasciano la partita, non portano più le merci alla piattaforma di interscambio di via Spataro, a Sampierdarena, dove c’è la sede di un’altra ditta, la Fratelli Pagano, denunciando una difficoltà dell’approccio telematico alla gestione delle merci. C’è anche l’offerta di adeguare tutto il sistema informatico, sempre con denaro pubblico. Ma ormai, è evidente, il feeling si è rotto e il business non sembra poi così redditizio, una volta destinato a gravare sulle sole spalle dei privati.
Il denaro stanziato basta per arrivare fino al novembre 2004. Poi tutto va in fumo. «E di quell’esperienza – spiega oggi Pierfranco Bernardi, direttore commerciale e socio della Sigla, gruppo di progetti e soluzioni informatiche che ha partecipato al progetto – non se n’è più saputo nulla, nonostante fosse la più avanzata d’italia e un fiore all’occhiello per la nostra città». E i furgoni? «Non so dove siano finiti». Nemmeno lui lo sa. Come i tanti che, in questi mesi, si sono messi alla caccia dei mezzi comprati con i soldi dell’Europa e del Governo italiano. Cioè soldi di tutti.
Ma peggio è andata al centro storico. Dopo l’esperimento, che pure non era stato gradito in maniera concorde, tanto che si erano levate polemiche sugli orari di accesso, la limitazione dei parcheggi, le sanzioni elevate a chi trasportava in proprio, ha visto i rifornimenti di merce tornare allo stato primitivo. vanificando gli sforzi di chi nel “trasporto pulito” aveva riposto le sue aspettative. Invece nel febbraio 2005 arriva la comunicazione ufficiale: «Il progetto pilota “Merci”, partito a Genova nel 2003 grazie ad un contributo del Ministero dell’Ambiente di 1,5 milioni di euro, dopo 19 mesi di attività, che ha permesso la distribuzione ecologica di colli nel centro storico più grosso d’Europa, è terminato a causa dell’esaurimento dei fondi».
Possibile rianimarlo? «Il progetto “Merci”, realizzato dalle associazioni di categoria e dal Comune – chiarisce il comunicato ufficiale – aveva ottenuto ottimi risultati permettendo di diminuire del 30 per cento la congestione e le ammissioni di gas di scarico nelle strade del centro. L’assessore alla mobilità di Genova, Arcangelo Merella, ha informato che si stanno effettuando studi per passare dalla sperimentazione all’autosostegno, ad un intervento di lungo periodo efficace».
Come sia andata a finire si è visto. I furgoncini sono andati in parte all’ospedale San Martino, in parte sono abbandonati alle intemperie della Valbisagno. Sarà possibile recuperarli oggi? Non sarà facile. Il Secolo XIX ha interpellato la Faam, l’azienda specializzata nella costruzione di veicoli elettrici che vinse la gara per la fornitura genovese: «Bisogna vedere in che condizioni si trovano. Si tratta di ottimi mezzi, ma se da troppo tempo sono fermi, è assai probabile che le batterie siano ormai inutilizzabili e che si debbano sostituire. Inoltre bisognerebbe anche calcolare le spese di manutenzione generale, se i veicoli sono stati lasciati all’aperto, esposti alle intemperie, e non si è più intervenuti da tempo».
Le testimonianze raccolte (alcune delle quali giunte anche a su questo stesso sito, dopo la denuncia di Musso) confermano la presenza dei furgoni nell’area recintata da parecchi mesi, senza che siano mai stati spostati. Un piccolo tesoro disperso, insieme ai fondi per la sperimentazione. Un milione e mezzo di euro, che sono almeno serviti ad altre città italiane, ma non a Genova dove il test si è effettuato. E soprattutto alla grande occasione persa.
Fonte: http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com